In un lembo remoto d'Italia, la costa jonica calabrese attorno a Locri, è esploso nel 2009 un fenomeno musicale e culturale straordinario. Mimmo Cavallaro con i TaranProject ha tenuto in sei mesi oltre settanta concerti, conoscendo un successo via via sempre più travolgente, fino a suscitare un'autentica passione collettiva.
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Quando volano i colombi cotti


Nel corso dello spettacolo 2012, che svolge la sua narrazione dosando accortamente emozioni e sorprese, arriva il momento dell'incantesimo. E' quando parte Sona Battenti, con la sua melodia dall'incedere sghembo; una canzone che fa storia a sé, delinea in pochi vigorosi tratti uno scenario fantastico nel quale immergersi e perdersi: parla proprio di strani incantesimi, e crea essa stessa un avvolgente sortilegio.
Il tema che viene svolto all'inizio sembra un classico: è il lamento del cantastorie, il cui lavoro non viene mai adeguatamente riconosciuto; è il rapporto viscerale che egli ha con la sua chitarra (battente, s'intende!), a cui si rivolge come a una persona; è il suo dispetto nel vedere che la donna desiderata, oggetto del suo incalzante corteggiamento canoro, potrebbe preferire un solido e gretto pecoraio a lui, l'ispirato aedo dei sentimenti, magari un po' scapestrato...

Ma ecco improvvisamente farsi luce nel brano, con quello straordinario effetto polifonico che conosciamo in tante canzoni di Mimmo, il mondo del pecoraio, con la forza dirompente di un richiamo che echeggia tra le forre e i pianori d'Aspromonte: “Trizzorè!” - già, perché questa misteriosa parola altro non è che un grido in uso tra i pastori quando radunano il gregge. Così il pecoraio parla alle sue bestie e le chiama a sé, in un linguaggio noto solo tra loro, come il cantastorie parla alla sua chitarra, condividendone pene e fatiche. Due universi messi a confronto, e alla bella di turno spetta la scelta: se io fossi donna – dice il cantante – non avrei dubbi!

Invece tutto prende a confondersi: il ritmo incalza e spiazza, e succedono “li cosi storti”.
Due immagini irresistibili descrivono questa realtà sottosopra - frutto di magheggi?, o è lo stordimento per il troppo suonare? - che sgomenta e sollecita al tempo stesso la risata liberatoria: c'è un'agguerritissima pattuglia di tre sorci grossi e tre piccini, che mettono in fuga ventinove gatti; e ci sono i colombi già cucinati che volano via, portandosi appresso pure i piatti!
Un turbine mischia le carte alla ragione, che perde il controllo sulla realtà; musicalmente un rapimento che esalta, fino a sfociare nella cadenza quasi marziale della danza conclusiva: Giovanna e Cosimo si fronteggiano, immersi in un cilindro di luce, è il momento del parossismo, ma anche della perentoria ricostituzione dell'ordine naturale; siamo ributtati di qua, come Alice di ritorno dal suo meraviglioso viaggio oltre lo specchio.

Non mancano, qui e là, com'è giusto che sia per questo brano, intriganti riferimenti, insolite presenze evocate in trasparenza: c'è un Mastro Ciccio da Gioiosa, mago della chitarra battente - come non pensare a Ciccio Loccisano? C'è un fratello che suona, e Mimmo indica Andrea – come non pensare a Stefano Simonetta? E anche il pastore, Cola, cela nel nome quello Zzi Cola che – me l'ha segnalato l'amico Giuseppe – in ambienti rurali calabresi rappresenta il Diavolo. Quanti misteri... e quanta fascinazione!



Per “Sona battenti” propongo due video da Youtube: la classica versione del 2009 (impeccabilmente filmata da Sarocrissemy) e quella di quest'anno (by Stilla Chjara), dove si apprezzeranno il nuovo ritornello vincente della pipita di Gabriele e il balletto finale.



Di seguito il testo, nei commenti la traduzione in italiano.

Sona battenti

Sona chitarra mia sona battenti,
li cordi su accordati una pè d'una,
li cordi sù accordati una pè d'una.

Mastru Cicciu da Gejusa, accordatimi sta chitarra,
accordatimilla bona, c'è me frati chi la sona,
accordatimilla bona, c'è me frati chi la sona.

Chitarra sì di lignu e soni tantu,
a cui 'nci duni spassu e a cui turmentu.
Eu vinna bella ccà pemmu vi tantu,
nommu pigghijati n'acinu d'abbentu.

Chitarra quantu è duci lu to sonu,
ma chi mi servi stu sonari 'nvanu.
Eu m'abbragu la vuci e tu lu tonu,
tu ti strudi li cordi ed eu la manu.

E trizzorè! e vota i peculi Cola meu,
e trizzorè! e vota i peculi Cola meu.
E si fussi fimmana eu pecurari non 'ndi vorrìa,
si fussi fimmana eu pecurari non 'ndi vorrìa.

E succediru a mia li cosi storti,
li surici u currìjanu li gatti,
li surici u currìjanu li gatti.

Tri suricedi e quattro suriciotti,
li currijianu a vintinovi gatti,
li currijiaru a vintinovi gatti.

E trizzorè! e vota i peculi Cola meu,
e trizzorè! e vota i peculi Cola meu.
E si fussi fimmana eu pecurari non 'ndi vorrìa,
si fussi fimmana eu pecurari non 'ndi vorrìa.

E succediru a mia li cosi storti,
mi la fujiru li palombi cotti,
mi la fujiru li palombi cotti.

Mi la fujiru li palumbi cotti,
mi la fujiru cu tutti li piatti,
mi la fujiru cu tutti li piatti.

E trizzorè! e vota i peculi Cola meu,
e trizzorè! e vota i peculi Cola meu.
E si fussi fimmana eu pecurari non 'ndi vorrìa,
si fussi fimmana eu pecurari non 'ndi vorrìa.

3 commenti:

  1. Suona battente

    Suona chitarra mia, suona battente!
    Le corde sono accordate una per una.

    Mastro Ciccio da Gioiosa,
    accordatemi 'sta chitarra
    accordatemela bene,
    c'è mio fratello che la suona.

    Chitarra sei di legno e suoni tanto,
    a chi regali spasso e a chi tormento.
    Io venni, bella, qua per tentarvi,
    perché non abbiate un attimo di riposo.

    Chitarra, quanto è dolce il tuo suono,
    ma a che mi serve questo suonare invano?
    Io mi arrochisco la voce e tu il tono,
    tu ti consumi le corde e io la mano.

    E trizzorè, volta le pecore, 'Cola mio!
    Se io fossi donna, pecorai non ne vorrei.

    Mi son successe le "cose storte":
    i sorci rincorrevano i gatti,
    tre sorcetti e quattro sorciotti
    rincorrevano ventinove gatti!

    E trizzorè, volta le pecore, 'Cola mio!
    Se io fossi donna, pecorai non ne vorrei.

    Mi son successe le "cose storte":
    mi son scappati i colombi cotti,
    mi son scappati con tutti i piatti!

    E "trizzorè", volta le pecore, 'Cola mio!
    Se io fossi donna, pecorai non ne vorrei.

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  2. Formidabile come sempre il nostro Filippo ferratissimo,(parafrasando il suo nik)in calabrofonia, da buon calabroveneto ha magicamente svelato gli arcani di quest'altra surreale canzone. Lo ringrazio per avermi citato ed approfitto per aggiungere un'altra accezione del nome "Cola" che nel linguaggio dei pecorai può voler indicare anche il lupo,(u zzì Cola)laddove per il gioco del paradosso, in questa canzone il pecoraio potrebbe arrivare ad affidate le pecore al lupo...
    E trizzorè! e vota i pecuri Cola meu
    Grazie ancora Filippo!!!

    Giuseppe Cricrì

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    1. MI SEMBRA CHE QUESTO CONCERTO LO CONOSCO.......... è QUELLO FATTO A FINO MORNASCO A COMO?
      PECCATO CHE QUEL GIORNO MANCAVA IL GRANDE COSIMO, A PROPOSITO COME STA ADESSO? è PRONOTO PER LA NUOVA STAGIONE? uN CARO AUGURIO DI UN BUON NATALE ED UN OTTIMO ANNO NUOVO ALLA BAND E AI TUTTI I SUOI FANS,FRANCESCO DA MILANO.

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