In un lembo remoto d'Italia, la costa jonica calabrese attorno a Locri, è esploso nel 2009 un fenomeno musicale e culturale straordinario. Mimmo Cavallaro con i TaranProject ha tenuto in sei mesi oltre settanta concerti, conoscendo un successo via via sempre più travolgente, fino a suscitare un'autentica passione collettiva.
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A crapa

Su Rockit, il portale della musica italiana, c'è il video di "A crapa" di Mujura!


Si tratta del brano di apertura del cd, uscito tre anni fa; il film (di Aldo Albanese e Gabriella Maiolo) è stato girato solo quest'anno, con uno sfasamento temporale che sembrerebbe inconcepibile per le ordinarie cadenze del mercato discografico, ma che risulta invece ininfluente per un'opera come "Mujura":
un disco importante e per molti versi definitivo - anche se è il suo primo, e un secondo presto seguirà... - che ha scolpito la Locride in un ritratto innamorato e rabbioso, fremente e lirico, ma soprattutto lucido in modo abbagliante.

Le immagini che ora accompagnano la voce di Stefano Simonetta, seduto imperturbabile al suo tavolino, aggiungono ancor più forza ad una riflessione detta con lingua talora arcigna, ma sempre intensamente espressiva e densa di riferimenti.
Nel video non si vede scannare nessuna capra: per le immagini la scelta stilistica è stata di caustica sobrietà, a contappuntare una canzone che di forza d'impatto ne ha già da vendere. Si riconoscono piuttosto alcune illustri apparizioni musicali: Enzo Tropepe dei mitici Re Niliu, Paolo Sofia dei Quartaumentata, il nostro Cosimo Papandrea, e gli amici e compagni di una vita Fabio Macagnino e Francesco Loccisano.
Occhio al minuto 3.14!
Compare un'immagine fuggevole che sembra non c'entri, ma che invece c'entra eccome, e che, ne sono sicuro, a Stefano sta particolarmente a cuore:
sul tavolino c'è un bicchiere, e dentro al bicchiere una rosa.
Il pensiero corre a Franco Costabile, poeta calabrese che per Stefano è molto più che semplice ispirazione; è da sempre interlocutore d'elezione, con il quale, aggiungo io, i versi di Mujura intessono idealmente un dialogo tra pari.

Insomma, godetevi il video, ma soprattutto andate a recuperare il disco, che a distanza di tre anni continua a ritornare negli ascolti di chi scrive con la persistenza e la ricchezza di un classico.

1 commento:

  1. Una recente intervista a Mujura, dove si parla del video e del prossimo disco.

    Nei versi di Mujura una "calabresità" senza stereotipi
    (Il Garantista - Calabria 19/6/14)

    «Il dialetto mi ha portato su territori estremi di approccio alla scrittura, mi ha permesso di scendere dentro la “durezza” della lingua e del popolo calabrese, ma ha pure generato una sorta di incomunicabilità, di difficoltà a farsi capire. L’uso di un linguaggio antico, quasi ostico, in alcuni dei miei testi era stato volutamente svuotato di “senso”, trasformato in un gioco con l’assonanza metrica, non con i contenuti. La parola in dialetto calabrese è piombo, è un macigno, un pesantissimo e immobile dolmen. Ma non puoi farti passare addosso un macigno solo per il gusto autodistruttivo di volerlo osservare da vicino. Non puoi farti schiacciare dalla pesantezza delle parole e uscirne illeso. Non volevo più sottoporre me e l’ascoltatore a questo sforzo esegetico. Per questo il mio prossimo disco sarà tutto in italiano». Sta lavorando al suo nuovo album Mujura (qui nelle foto di Adelaide Di Nunzio). Dopo l’esordio nel 2011 con il cd omonimo, prodotto da Taranta Power di Eugenio Bennato, con cui collabora da diversi anni, il cantautore calabrese torna conun nuovo tassello del suo originale progetto artistico. E rivoluziona la cifra stilistica della sua ispirazione musicale. «È stato un percorso entusiasmante quello dell’analisi e dell’uso del dialetto come puro mezzo espressivo – ci dice -. Ora però sento un maggiore bisogno di comunicazione, di arrivare a chi mi ascolta in maniera meno criptica, meno “pesante”». Per Mujura, autore di poesia intrecciata ai suoni ritmici della musica popolare e a moderni elementi folk-rock, il nuovo lavoro segna il passaggio da una ricerca artistica legata al territorio a una dimensione più ampia. «Rimane l’impiego di strumenti etnici e acustici, piegati però alle esigenze della canzone. Con un filo conduttore: l’uomo di fronte ai suoi archetipi – spiega Mujura -. Come nel mio primo disco ci sarà ancora il ricorso alla mitologia, ma svincolata dagli abusati riferimenti alle nostre radici magnogreche. Il nostro sangue è intriso del sudore soverchio di un popolo migrante, dei racconti di Alvaro, dei versi disperati e disillusi di Costabile. Il mito nei miei testi è un mezzo per raccontare l’uomo». Il sapiente e riuscito mix di lingua italiana e dialetto del precedente lavoro (“Parti”, “Ngravachjumbu”, “Amir” e “Blu”, alcuni dei brani più significativi) lascia spazio all’esigenza di vincere una sorta di “isolamento” verbale che riproduce l’isolamento del territorio. “Toro”, “Efesto”, “Vs Cassiopea” sono alcune delle nuove canzoni con cui Mujura è già in sala d’incisione. Mentre è in fase di montaggio il video di “A crapa”, brano trainante del primo album. Una canzone forte, una discesa dentro il “reale” della calabresità, senza filtri, senza “interpretazioni”. Trenta location diverse nella Locride, oltre quaranta comparse, con la produzione di Aldo Albanese e Gabriella Maiolo. Immagini che sottolineano il racconto di una terra arcaica, di rituali scuri, natura selvaggia. «È la mia percezione della Calabria e della ionica in particolare, un tentativo di calarmi dentro essa per guardarla così com’è» conclude.

    (Maria Teresa D’Agostino)


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